Profilo biografico di Jacques Maritain
Piero Viotto
1. Gli anni della formazione e della crisi (1882-1908)
Jacques Maritain nacque a Parigi il 18 novembre 1882 da una famiglia protestante. Il padre Paul è avvocato, la madre Geneviève Favre, è figlia di Jules Favre, deputato repubblicano, tenace oppositore di Luigi Napoleone. Jacques frequenta il liceo Enrico IV stringendo amicizia con Ernest Psichari, nipote di Ernest Renan, e manifesta subito una vivace vocazione intellettuale: «A dire il vero, non avevamo la minima intenzione di affrontare da dilettanti i dibattiti dello spirito. Una certa rettitudine istintiva, un vivissimo desiderio del reale e dell’oggetto, ci preservava dall’egotismo, come dalle vane chimere della falsa erudizione, ed Ernest non aveva bisogno di esaminare grossi libri per beffarsi di Wolff e per persuadersi dell’esistenza storica del vecchio Omero». Maritain riflette su questa sua esperienza liceale comprendendo la necessità di una educazione che non si limiti ad esercitare dilettantisticamente l’intelligenza, ma sappia soddisfarla, mettendola a contatto con il reale mediante l’universo della bellezza. In uno dei suoi primi scritti (1921) ricordando l’amicizia con Psichari, scrive: «Che strana truffa della natura il momento in cui l’anima inconsapevole dei suoi limiti si sveglia a tutte le bellezze del mondo e pensa, nella sua percezione ancora torbida e confusa, che deve solo manifestarsi per possedere tutto».
Dopo il liceo Maritain frequenta la Sorbona, laureandosi prima in filosofia e poi in scienze naturali, e in questo periodo conosce Raïssa Oumançoff, nata nel 1883 a Rostov sul Don da una famiglia di ebrei ortodossi, con la quale condivide la crisi intellettuale dovuta alla insoddisfazione dei corsi universitari, che impregnati di scientismo irridevano al bisogno dei giovani di trovare la verità. Lo stesso Maritain così descrive gli anni della sua formazione: «Nella mia infanzia, sono stato istruito nel “protestantesimo liberale”. Più tardi ho conosciuto i diversi aspetti del pensiero laico. La filosofia scientista e fenomenista dei miei maestri della Sorbona aveva finito per farmi disperare della ragione. Per un momento avevo creduto di poter trovare la certezza integrale nelle scienze; Felix Le Dantec pensava che la mia fidanzata e io saremmo divenuti i discepoli del suo materialismo biologico; (ciò che di meglio devo ai miei studi di quest’epoca è l’avermi fatto incontrare, alla Facoltà di Scienza, quella che da allora ho avuto la fortuna di avere accanto a me in tutti i miei lavori in una perfetta e benedetta comunione). Bergson fu il primo a rispondere al nostro desiderio profondo di verità metafisica; egli liberò in noi il senso dell’assoluto. Prima di essere preso da s. Tommaso d’Aquino, le grandi influenze che subii furono quelle di Charles Peguy, di Bergson, di Leon Bloy; appunto un anno dopo aver conosciuto Bloy, e avendolo scelto come padrino, ricevemmo il battesimo cattolico. Fu dopo la conversione al cattolicesimo che conobbi s. Tommaso; io, che ero passato con tanto entusiasmo attraverso tutte le dottrine dei filosofi moderni e non vi avevo trovato che delusione e grandiose incertezze, provai allora come un’illuminazione della ragione; la mia vocazione filosofica mi veniva restituita in tutta la sua pienezza. Guai a me se non tomistizzo, scrivevo in uno dei miei primi libri. E per trenta anni di lavori e di lotte, ho camminato sulla stessa via, sentendo di simpatizzare tanto più profondamente con le ricerche, le scoperte, le angosce del pensiero moderno, quanto più cercavo di farvi penetrare la luce che ci viene da una sapienza elaborata dai secoli e che resiste alle fluttuazioni del tempo. Ho voluto parlare delle diverse esperienze attraverso le quali sono passato, perché esse mi hanno dato l’occasione di provare successivamente in me lo stato d’animo del libero pensatore idealista, del convertito inesperto, del cristiano che, via via che si consolida la sua fede, prende coscienza delle purificazioni che essa deve subire».
Questa testimonianza di Jacques, che va completata con quella di Raissa, al di là del succedersi oggettivo dei momenti di formazione intellettuale, evidenzia psicologicamente l’ansia soggettiva di verità che animava i due giovani: «Questa filosofia della verità, questa verità ardentemente cercata, così invincibilmente creduta, era ancora per noi una specie di Dio sconosciuto; le riservavamo un altare nel nostro cuore, l’amavamo ardentemente senza conoscerla; fin da principio le riconoscevamo ogni diritto su di noi, sulla nostra vita. Ma non sapevamo ciò che essa sarebbe stata, per quale via, con quali mezzi poteva essere raggiunta. Vi era dunque in noi questa idea invincibile della verità, questa porta aperta sul cammino della vita. Fino al giorno indimenticabile in cui ascoltammo Bergson, questa idea della verità, questa speranza di scoperte insospettate era stata da tutti coloro, da cui aspettavamo qualche luce, implicitamente o esplicitamente schernita».
2. I primi anni di insegnamento (1909-1926)
Dopo aver superato la crisi intellettuale, che aveva portato i due giovani sulla soglia del suicidio, grazie alle lezioni di Bergson e alla filosofia di s. Tommaso, Jacques Maritain inizia la sua attività culturale collaborando a diverse riviste e la sua attività didattica insegnando al Collegio Stanislao e all’Institut Catholique di Parigi. La sua esperienza didattica al collegio Stanislao per l’impegno e l’originalità scandalizza il tradizionalismo dei suoi colleghi ed evidenzia un carattere deciso, «dolce di cuore ma duro di testa», che caratterizzerà per tutta la vita la personalità di Maritain. Così Raissa descrive le prime lezioni di filosofia con osservazioni, che purtroppo sono ancora attuali per tante scuole che pretendono di essere «cattoliche»: «In ottobre Jacques cominciò il primo anno del suo corso di filosofia al collegio Stanislao, dove era entrato per la presentazione del padre Peillaube. Lasciò senza rimpianti i lavori della casa Hachette. Gli inizi del suo corso allo Stanislao non furono facili. Aveva deciso di fare della filosofia di Aristotele e di s. Tommaso il centro del suo insegnamento; ma il tomismo sembrava all’amministrazione del collegio, agli studenti ed alle famiglie, singolarmente dannoso per il successo finale degli studenti agli esami di diploma, cui si limitava tutta l’ambizione del pensiero (dopo il diploma sarebbe venuta la carriera, che importava assai più delle convinzioni filosofiche). Il direttore del collegio, il canonico Pautonnier, guardava Jacques con occhio preoccupato. Era il canonico Pautonnier che gli diceva con sorridente insistenza: “Mio caro amico, passerà, passerà questo ardore di neofita…”». “Non è passato, scriveva Jacques qualche anno più tardi nella prefazione dell’Antimoderne, al contrario è diventato col tempo più tenace e più determinato, perdendo, almeno lo spero, l’inutile asprezza della gioventù e dell’inesperienza”.
Ma vi erano cose più terribili del suo tomismo: dal primo giorno Jacques volle incominciare la lezione con una preghiera – un’Ave Maria seguita da una invocazione a s. Tommaso -; prendeva sul serio, questo “neofita”, la qualità di “cattolico” del collegio e dei suoi allievi. Tale non era l’uso allo Stanislao, soprattutto nella classe degli studenti di filosofia, che non erano più bambini e che seguivano dei corsi di religione, di “culto” come si diceva, ma che ritenevano la religione non avesse niente da fare nelle vere scuole, quelle che preparano agli esami. Il sistema di “compartimenti stagni” regnava allora… Un ragazzone, che divenne uno dei migliori scolari della classe e per il quale Jacques ebbe molta simpatia, si alzò il primo giorno e dichiarò che non poteva recitare la preghiera, “perché aveva fatto studi moderni e non sapeva pregare in latino”.
“Bene, rispose il professore, esca dalla classe; non vi rientrerà se non quando saprà abbastanza latino per dire una Ave Maria”. Lo studente ed i suoi genitori andarono a lamentarsi presso la direzione, che cominciò a temere di perdere i suoi allievi. Tuttavia Jacques l’ebbe vinta. I racconti di questi incidenti davano a mia sorella e a me una gioia un poco preoccupata».
Parallelamente all’attività di insegnamento Maritain svolge attività culturali collaborando a diverse riviste e tenendo conferenze in Francia e all’estero. Proprio da un corso di conferenze tenuto nell’aprile-maggio 1913 all’Istituto Cattolico nasce il suo primo volume: La filosofia Bergsoniana che segna non solo il distacco dal primo maestro, avendo i Maritain percepito la impossibilità di conciliare la loro fede cristiana con l’evoluzionismo bergsoniano, ma anche l’abbozzo di una trattazione organica dei problemi filosofici, come riflessione sulla relazione interpersonale tra l’uomo e Dio mediata dalla libertà. A questa prima impostazione Maritain resterà sempre fedele, per cui tutte le opere successive possono essere considerate un approfondimento ed un allargamento della tematica impostata nel 1914.
I Maritain che insieme avevano studiato la pittura nel museo del Louvre e l’architettura medioevale nella cattedrale di Chartres, incontrano nel pittore Rouault l’occasione per studiare insieme la genesi dell’opera d’arte, come Raïssa descrive: «Rouault fu da allora per noi la rivelazione dell’arte contemporanea; è da lui infatti che noi andammo a Cezanne, nel quale egli ha una reale filiazione, benché con una originalità assoluta; da lui andammo anche ai “fauves”, ai quali si può avvicinarlo per alcuni principi assai generali soltanto, per che la sua arte ha un’altra ispirazione, un’altra forma, un altro colore di quelli di un Matisse, o di un Derain. Ma Rouault fu per noi soprattutto la prima rivelazione del vero e grande artista. E in lui, in concreto, che noi comprendemmo dapprima la natura dell’arte, le sue necessità imperiose, le sue antinomie e il conflitto dei doveri assai reale, e talvolta tragico, di cui lo spirito di un artista può essere teatro».
Il volume Arte e Scolastica , che tra il 1920 e il 1947 avrà ben 14 edizioni, rappresenta una prima teorizzazione della filosofia dell’arte secondo il tomismo e una proposta pedagogica per l’educazione alla produzione artistica e alla fruizione estetica.
Il terzo argomento di interesse culturale presente fin dai primi anni alla ricerca maritainiana riguarda l’epistemologia, perché proprio dalla crisi dello scientismo nel quale era maturata la loro riflessione filosofica doveva nascere la ricerca della distinzione tra i diversi gradi del sapere, a partire dall’esperienza naturale, attraverso la matematica, fino alla riflessione filosofica e all’esperienza mistica. «Poco a poco – osserva Raïissa nel suo diario – la gerarchia dei valori spirituali, intellettuali, scientifici ci appariva e cominciavamo a comprendere che essi possono non essere in contrasto gli uni con gli altri. In grado diverso tutti questi valori partecipano al mistero in cui si conclude finalmente ogni scienza, tutti partecipano della luce da cui discende ogni conoscenza. E noi vedevamo chiaramente che la verità degli uni non potrebbe essere contraria alla verità degli altri». Proprio nella prospettiva dell’educazione intellettuale Maritain scrive nel 1924 un’altra opera fondamentale Riflessioni sull’intelligenza e sulla sua vita propria in cui, contro ogni forma di fenomenismo illuministico e di idealismo romantico, presenta la teoria gnoseologica, del «realismo critico» affermando che la mente umana è in grado di conoscere là realtà e va educata a cogliere l’essere intelligibile nella realtà.
In questo senso Maritain si presenta come «antimoderno» perché rifiuta tutto il soggettivismo della filosofia contemporanea derivato da Lutero sul piano teologico, da Cartesio sul piano filosofico e da Rousseau sul piano politico-pedagogico, ma non nel senso di rifiutare lo sviluppo della storia della cultura e della società che ha permesso l’autonomia – nella distinzione, non nella separazione – della scienza dalla filosofia, della politica dalla morale, e della cultura dalla religione. «Se siamo antimoderni non è certo per gusto personale, bensì perché il moderno uscito dalla rivoluzione anticristiana ce ne costringe con il suo spirito, perché esso stesso fa dell’opposizione al patrimonio umano la sua propria specificità, odia e disprezza il passato, adora se stesso, e per che noi aborriamo e disprezziamo quest’odio e questo disprezzo e questa impurità spirituale. Se bisogna però salvare e assimilare tutte le ricchezze d’essere accumulate nei tempi moderni, ed amare lo sforzo di coloro che cercano, e desiderare i rinnovamenti, allora noi non desideriamo nulla quanto essere ultramoderni». Sempre Maritain conserverà questo atteggiamento polemico e comprensivo verso la società contemporanea, accusando i modernisti di «neolatria» nel 1922 e i neomodernisti di «cronolatria» nel 1966.
Come la filosofia dell’arte, anche l’epistemologia maritainiana non nasce per deduzione logica, ma attraverso una riflessione sull’esperienza, a contatto con gli scienziati.
In questa ricerca epistemologica Maritain individua anche il posto della pedagogia, considerata come una scienza che dipende ma non deriva dalle altre scienze antropologiche e che, come riflessione poietica sulla esperienza educativa è di natura filosofica. Infatti accetta di fare la prefazione alla traduzione francese dell’opera del pedagogista fiammingo Frans de Hovre, Saggio di filosofia pedagogica , condividendone il pensiero.
D’altra parte Maritain si era anche interessato di didattica, accettando di scrivere per gli studenti liceali ed universitari due libri di iniziazione filosofica con annotazioni metodologiche per la formazione intellettuale. Gli Elementi di filosofia : I. Introduzione generale alla filosofia, II. Piccola logica, pubblicati nel 1921 e ne11923, ebbero numerose edizioni e diverse traduzioni nelle principali lingue europee.
3. Il periodo di Meudon e i Circoli tomisti (1921-1939)
La vocazione intellettuale dei Maritain come testimonianza della filosofia cristiana nella cultura contemporanea si definisce in due volumi dedicati al pensiero e all’opera di s. Tommaso, il primo di Jacques Il dottore Angelico , espone le grandi linee del pensiero di s. Tommaso a confronto con la filosofia moderna, il secondo di Raïssa L’Angelo della scuola è una biografia dell’Aquinate scritta per i fanciulli ed illustrata con disegni di Severini. Nella prefazione al volume Jacques definisce le linee portanti del tomismo in alcuni punti fondamentali: «C’è una filosofia tomista, non c’è una filosofia neo- tomista. Il tomismo non vuole essere un ritorno al medioevo. Il tomismo usa la ragione per distinguere il vero dal falso, non vuole distruggere ma purificare il pensiero moderno e integrare tutte le verità scoperte dai tempi di s. Tommaso. Il tomismo non è ne di destra ne di sinistra. Il tomismo è una saggezza. Tra lui e le forme particolari della cultura debbono regnare scambi vitali incessanti, ma in se stesso nella sua essenza è rigorosamente indipendente da queste forme particolari. Giudicare il tomismo come un abito usato che si portava al XIII secolo e oggi non si porta più, è ritenere che il valore della metafisica sia una funzione di un certo tempo, e un modo di pensare propriamente barbaro. È un modo puerile giudicare la metafisica in funzione di uno stato sociale da conservare. La filosofia di s. Tommaso è in se stessa indipendente dai dati della fede e nei suoi principi e nella sua struttura non si rifà che alla esperienza e alla ragione, per cui questa filosofia, pur restando perfettamente distinta è in comunicazione vitale con la saggezza superiore della teologia e con la saggezza della contemplazione». A questo giudizio sul valore e sul significato della filosofia tomista espresso nel 1930, Maritain resterà fedele durante tutta la sua ricerca, confermandolo ripetutamente nelle opere successive fino al suo ultimo lavoro Approches sans entraves del 1973 nel quale, in alcune osservazioni sull’insegnamento della filosofia, confermerà l’autonomia del sapere filosofico pur nel suo collegamento con tutte le altre scienze.
Intanto i Maritain avevano fatto della loro casa a Meudon, un sobborgo di Parigi, un centro di incontri spirituali e di dibattiti culturali ai quali oltre a filosofi come Berdiaev e Gilson e ai teologi come Garrigou-Lagrange e Journet, partecipano letterati e romanzieri come Mauriac, Cocteau, J. Green, Claudel, pittori come Rouault, Severini, Chagall, scultori come Arp, musicisti come Satie, per ricordare solo i nomi più significativi. Da questi incontri nascono i circoli tomisti per approfondire lo studio della filosofia scolastica. L’attività di questo periodo è così descritta da Maritain nei suoi Ricordi e appunti: «Fu dunque a Meudon, come già dissi, che si svilupparono i circoli tomisti e i loro ritiri annuali. Anno per anno venne aumentando il numero dei partecipanti al ritiro ed anche quello di coloro che assistevano alle riunioni mensili. (Negli ultimi anni parteciparono ai ritiri circa due-trecento persone). Questi circoli di studi tomisti si diffusero anche all’estero, soprattutto in Inghilterra, sotto la presidenza di Richard O’Sullivan, e poi in Svizzera, in Belgio… Quando adesso mi capita di ripensare agli anni di Meudon, non so capacitarmi di come facessimo a sopportarne tutte le fatiche. Oltre alla preparazione dei corsi che tenevo annualmente all’Institut Catholique e dei miei libri (senza parlare delle conferenze all’estero), oltre al tempo dedicato agli amici vecchi e nuovi, che costituivano la nostra grande consolazione, ai visitatori sconosciuti che giungevano con speranze imprecisate e che bisognava soprattutto ascoltare, alle conversioni, ai battesimi, alle vocazioni religiose – cose alle quali non ebbi mai l’empietà di dar la caccia: non erano affar nostro, bensì opera della grazia e qualche volta di consiglieri troppo frettolosi; tuttavia non bisognava mai sottrarvisi non c’erano soltanto i circoli tomisti e i ritiri ma una molteplicità di altre riunioni soprattutto quelle che, scherzando, si chiamavano “esoteriche” (si discuteva in pochi soltanto qualche punto difficile), le interconfessionali che avvenivano da Berdjaev e in casa nostra, le riunioni purtroppo senza risultati allo scopo di costituire una società di ‘filosofia della cultura’, altre per fondare una ‘società della filosofia della natura’ (queste ebbero effetto e la società che si costituì prese un buon avvio, pubblicò tre o quattro libri di valore prima di estinguersi in seguito ai conflitti politici sorti fra i suoi membri). C’era la collezione del Roseau d’or (divenuta, in seguito, delle Iles), quella delle Questions disputees, quella della Bibliothèque française de philosophie con tutto l’ammucchiarsi dei manoscritti da leggere, della corrispondenza e delle conseguenti recriminazioni. C’erano gli Studi Carmelitani di Padre Bruno e i congressi di Avon, la necessità culturale di rimanere al corrente della poesia, della musica, della pittura. Ci fu la crisi dell’Action française, e i drammi di coscienza a causa della guerra civile in Spagna, l’affare “Vendredi” la fondazione di ‘Temps present’, e la collaborazione al periodico stesso – e tutti i manifesti che dovevo compilare, dal momento che quelli propostimi peccavano di partigianeria, e infine le conferenze piuttosto agitate, organizzate da Andre David al Theatre des Ambassadeurs. Se mantenni la pace dell’anima e mi sforzai sempre di essere saggio, pur trovandomi in mezzo a un tale scompiglio, so bene da chi e come il conto è stato pagato».
I «Circoli di studi tomistici», che si riunirono in ben 15 convegni annuali tra il 1921 e il 1937, non erano solo occasioni di dibattiti culturali, ma una vera e propria «scuola di spiritualità» per laici impegnati nelle più diverse attività culturali e sociali con un vero e proprio statuto sociale, che, pur richiedendo la direzione spirituale di un religioso dell’Ordine dei domenicani, un voto privato di preghiera, un impegno allo studio sistematico del pensiero di s. Tommaso, garantiva l’autonomia dell’associazione da ogni forma di subordinazione all’autorità ecclesiastica proprio per confermare il valore razionale della ricerca filosofica.
Questa «laicità» e «autonomia» del sapere filosofico non viene posta da Maritain in contrapposizione o in sostituzione al sapere teologico, come avveniva nella cultura illuministica di derivazione cartesiana, che separava e contrapponeva ragione e fede, ma in correlazione con l’esperienza religiosa, tanto da portarlo, in un importante dibattito, alla definizione dello statuto della «filosofia cristiana» (da cui deriverà lo statuto epistemologico di una morale adeguatamente intesa e di una pedagogia cristiana) , in occasione di una tavola rotonda che si svolse nel 1931 presso la «societe française de philosophie» con la partecipazione di E. Gilson, E. Brehier, L. Brunschwicg, M. Blondel. Proprio di questo periodo è la prima edizione dell’opera più importante della produzione maritainiana nel campo della epistemologia, Distinguere per unire, ossia i gradi del sapere , ove l’autore partendo dalla scienza sperimentale, attraverso la matematica e la filosofia della natura, giunge alla metafisica, alla teologia e alla mistica, affermando la intelligibilità dell’essere, senza ridurre l’essere al pensiero, perché la filosofia è insieme un «mistero» e un «problema».
Accanto a questo lavoro di ricerca teoretica, Maritain, sollecitato dai suoi lettori, continua anche il lavoro didattico con piena consapevolezza delle difficoltà di tradurre il discorso filosofico in «lezioni». Nella sua prefazione alle Sette lezioni sull’essere e sui primi principi della ragione speculativa , pubblicate nel 1933, osserva: «non si comincia con un lavoro di compendio: si compendia quello che è stato in precedenza portato a un sufficiente grado di elaborazione». Che dire dei «professori», che preparano le loro lezioni sui libri di testo usati dagli allievi!
Maritain nel «periodo di Meudon» non solo definisce la sua posizione filosofica, ma stabilisce chiaramente anche la sua posizione politica. Dopo aver per un certo tempo simpatizzato, pur senza mai iscriversi, per il movimento di destra «Action Française», dopo la condanna di Pio XI, prende le distanze dal gruppo politico che faceva della politica un parametro assoluto, perché la politica non può machiavellicamente essere fine a se stessa, e il potere temporale deve subordinarsi al potere spirituale, pur conservando la sua autonomia di campo d’azione. Nel 1932 Maritain fa amicizia con E. Mounier, collabora alla fondazione della rivista «Esprit», ma non aderisce al movimento. Sottoscrive diversi manifesti politici contro la guerra in Spagna, contro l’invasione italiana dell’Etiopia, per il bene comune, per la difesa della pace civile e religiosa ma non si iscrive a nessun partito, perché vuole conservare la sua indipendenza di filosofo, che si sente impegnato nell’azione, ma dalla parte dei principi e dei valori universali che non possono esaurirsi nel programma di un partito politico. Troppi malintesi si erano già verificati sul suo nome, troppi gruppi lo volevano dalla loro parte, per cui scrive la Lettera sull’indipendenza: «Il filosofo ha una qualche utilità fra gli uomini solo se rimane tale. Ma rimanere filosofo e agire come filosofo, obbliga a tenere ferma in ogni caso la libertà della filosofia ed in particolare ad affermare a tempo e a contrattempo l’indipendenza del filosofo di fronte ai partiti quali che essi siano. Siano essi di destra, di sinistra, non appartengo ad alcuni di essi. L’indipendenza del filosofo è voluta dalla natura propria di un sapere che di per sé è una saggezza e che, anche quando si riferisce nel modo più diretto al contingente, lo domina sempre; l’indipendenza del filosofo testimonia la libertà dell’intelletto di fronte all’istante che passa. L’indipendenza del cristiano testimonia la libertà della fede di fronte al mondo. È tutto l’opposto di una fuga o di una evasione; tutto l’opposto di una defezione davanti al dramma dell’esistenza e della vita, di un rifugio in una curiosità da “spettatore” disinteressato. Si tratta di un impegno tanto più reale e profondo quanto più la libertà interiore è intatta».
Questa posizione dell’intellettuale, che è insieme libertà e testimonianza, a cui Maritain resterà fedele per tutta la vita, pur elaborando, prima in Francia e poi in America, una politica personalistico-comunitaria, una dottrina dello Stato democratico, dovrebbe essere la posizione dell’educatore impegnato nelle strutture scolastiche, che non dovrebbe farsi uomo di «parte». Gli «intellettuali impegnati», quando militano in una organizzazione politica perdono la loro libertà di intellettuali. Nel 1953 in una conferenza tenuta al Graduate College dell’Università di Princeton, Maritain ritornerà sulla questione del «filosofo nella società» precisando che le due grandi «funzioni» del filosofo nella società riguardano la verità e la libertà; «Il filosofo, che dedicandosi al suo compito speculativo, affranca la sua attenzione dagli interessi degli uomini, o del gruppo sociale, o dello Stato, ricorda alla società il carattere assoluto ed inflessibile della Verità. Per quanto riguarda la Libertà, egli ricorda alla società che la libertà è la condizione stessa dell’esercizio del pensiero». Malgrado queste sue chiare prese di posizione, e questa sua indipendenza dai diversi gruppi politici, Maritain dovette difendersi da fraintendimenti ed incomprensioni, polemizzare contro chi strumentalizzava il suo pensiero. L’opera di filosofia politica più nota e più diffusa nel mondo, anche se non può essere considerata la sua opera più importante , Umanesimo integrale , nata da una serie di conferenze a Poznam in Polonia e a Santander in Spagna, fu oggetto in Sud-America ed in Europa di violenti polemiche, ma contribuì alla fondazione culturale dei movimenti politici che intendevano trarre ispirazione dal Vangelo per una testimonianza cristiana nella vita sociale, senza confondere il temporale con lo spirituale, la storia con il Regno di Dio, lo Stato con la Chiesa. Da una parte Maritain era accusato di volere impegnare la religione sul terreno della politica, per che affermava l’esigenza di una «politica cristiana», autonoma dalla fede, ma coerente con l’ispirazione evangelica senza impegnare la Chiesa negli affari del mondo; dall’altra era accusato di naturalismo e di storicismo, considerato un «marxista cristiano», perché difendeva i diritti della classe operaia, che le omissioni dei cristiani avevano allontanato dal Cristianesimo. Proprio queste accuse dimostrano la validità del pensiero politico maritainiano, che distingue senza separare i diversi livelli di azione umana, come aveva distinto senza separare i diversi gradi del sapere umano. Altro è agire «in quanto cristiano» sul piano dello spirituale avendo per mira la salvezza eterna dell’umanità, altro è agire «da cristiano» avendo per scopo la promozione umana nella storia.
Maritain non si limita ad indicare i fini dell’azione politica, ma individua anche i metodi adeguati agli scopi, e fin dai primi scritti politici del periodo di Meudon sottolinea la necessità di una democrazia come partecipazione e di un’autorità come servizio. Contro il concetto «marxista» di «classe» e il concetto «fascista» di «nazione», recupera e rifonda il concetto «cristiano» di «popolo», e proprio in relazione alla sua filosofia di realismo e di esistenzialismo. Nell’articolo Esistere con il popolo apparso nel 1937 in francese sulla rivista «Sept» ed in spagnolo sulla rivista «Sur», scrive: «Quando si tratta della realtà della storia umana, siamo portati facilmente a considerare le cose dall’ottica dell’azione e delle idee che regolano l’azione. Ma è necessario anche, e prima di tutto, considerarle dal punto di vista dell’esistenza. Voglio dire che esiste un ordine diverso, e più a monte di quello dell’attività sociale e politica: l’ordine della comunione di vita, di desiderio e di sofferenza. In altri termini, dobbiamo riconoscere, diversa dalla categoria dell’agire per o agire con, la categoria dell’esistere con e soffrire con, la quale concerne un ordine di realtà più profondo.
Agire per entra nell’ambito del semplice amore di benevolenza, mentre esistere con e soffrire con appartengono al campo dell’amore d’unità. L’amore è rivolto ad un essere esistente e concreto. Indipendentemente da quanto ne dice Pascal, l’amore va alla persona, non alle «qualità». Quell’essere che amo l’amo veramente, abbia egli torto o ragione; desidero esistere con lui e soffrire con lui.
Esistere con è una categoria etica. Non significa che voglia vivere fisicamente con un essere e allo stesso suo modo, e nemmeno che ami un essere nel senso di volergli bene; significa, invece, che lo amo nel senso di fare unità con lui, di portare il suo peso, di vivere in convivenza morale con lui, di sentire con lui e di soffrire con lui.
Se si ama questa cosa vivente ed umana, di difficilissima definizione, certo, come ogni cosa umana vivente, ma tanto più reale, che si chiama popolo, allora si è portati innanzitutto e soprattutto a esistere con lui e a soffrire con lui, e a rimanere nella sua comunione». Questo «essere con» ha pure un significato pedagogico. Se il processo educativo consiste in una inter-relazione tra educatore ed educando, in una reciproca «comprensione» dei valori, per educare non basta «essere tra» gli educandi (presenza fisica) o «essere per» gli educandi (presenza morale) , ma bisogna «essere con» gli educandi (presenza pedagogica), condividere la loro esperienza.
4. Il periodo americano e le opere della maturità (1940-1959)
Per tutto il «periodo di Meudon» Maritain insegna all’Institut Catholique nelle cattedre di filosofia teoretica e storia della filosofia, dedicandosi anche a corsi di cosmologia; a partire dall’inverno 1932-1933 tiene anche corsi al Mediaeval Institut di Toronto in Canada. Si trova proprio a Toronto quando nei primi mesi del 1940 la polizia nazista lo cerca a Meudon, per cui si vede precluso il ritorno in patria e deve riparare negli Stati Uniti ove viene chiamato ad insegnare nelle università di Princeton e di Notre Dame, inserendosi nella tradizione di studi tomistici, come Maritain stesso descrive nelle sue Riflessioni sull’America: «Come il lettore forse saprà, io sono un filosofo tomista. C’era in Francia, prima della guerra, un forte movimento tomista, ch’era tuttavia il frutto dello sforzo di non molti “ribelli”, capaci di proclamare la verità contro corrente: i circoli intellettuali ufficiali risolutamente si rifiutavano – e tuttora si rifiutano, nel loro atteggiamento, di riconoscere persino l’esistenza di tali ribelli e della loro opera. Già: quale apporto ci si può mai attendere, per la filosofia dei nostri tempi, da un uomo – un teologo! un santo! – che visse nel tredicesimo secolo? Ebbene, qui in America filosofi che considerano l’Aquinate come un pensatore contemporaneo stanno insegnando non soltanto nelle università cattoliche, ma anche in quelle laiche. Potremmo qui ricordare, in proposito, qualche esempio significativo per quanto riguarda Chicago.
In nessuna università europea avrei poi trovato lo spirito di libertà e di simpatia da me incontrato a Princeton nell’insegnare filosofia morale nella luce di Tommaso d’Aquino.
A proposito di Princeton, dove mi trovo ora a godere della paradisiaca condizione di un Emerito, mi sia concesso di protestare i sensi della mia riconoscenza verso il Rettore Harold Dodds, e mi si lasci indulgere, su questo stesso terreno, in un briciolo di ricordi personali. Nel dicembre 1947, sulla via del ritorno a Roma da Città del Messico, feci una sosta logistica di poche ore a New York. Il Rettore Dodds era là: egli era stato così gentile e premuroso da raggiungermi a New York per offrirmi – se mai, io avessi rinunciato al mio ufficio diplomatico presso il Vaticano – una cattedra all’università di Princeton, e precisamente nella mia qualità di filosofo d’ispirazione e di principi tomistici. Il fatto che quella di Princeton fosse un’università laica di origine presbiteriana non costituiva davvero un ostacolo: anzi, doveva essere semplicemente più interessante una mia nomina a tale insegnamento.
Lo spirito di libertà del quale sto parlando è in stretto rapporto, mi pare, con quel perpetuo processo di autocritica, di autocorrezione, di miglioramento, che si può benissimo osservare tanto nei piccoli collegi (che qui costituiscono per così dire la spina dorsale dell’intero sistema o campo dell’istruzione) quanto nelle grandi università: e sia nelle grandi università cattoliche, come quella di Notre Dame, sia nelle grandi università laiche, quali appunto quella di Princeton o quella di Chicago. Già: e non posso che sentirmi orgoglioso di tenere regolari corsi sia all’università cattolica di Notre Dame, sia in quella laica di Chicago, oltre che presso I’Hunter College (vecchia e cara conoscenza quest’ultimo: ebbi l’onore di tenervi il discorso ufficiale in occasione dell’insediamento del Rettore George Shuster, il 10 ottobre 1940), dove lo stesso spirito di libertà è alimentato da questo grande umanista cristiano. Orbene, per ritornare al nocciolo del nostro discorso, dopo queste digressioni di carattere personale (che temo, peraltro, debbano fare ancor capolino), bisogna pur prendere atto che nelle riviste filosofiche delle più svariate tendenze appare obiettivamente scontato che il “neotomismo”, come dicono, rappresenta una delle correnti vitali della filosofia americana d’oggi. La National Society for the Study of Education sollecitò un filosofo tomistà perche scrivesse, per il suo Annuario del 1955, un capitolo intitolato Modern Philosophies and Education. (Il Tomismo dunque, per questo Annuario, occupa un posto fra le filosofie moderne. E dire che né Emile Brehier, ne i suoi colleghi della Sorbona hanno mai voluto riconoscere questo fatto!). È questione di lealtà ed obiettività intellettuale. Mi si lasci qui ricorrere ad un altro esempio, che ha per me un significato tutto particolare. Un grande commentatore di Tommaso d’Aquino, Giovanni di San Tommaso, che visse nel diciassettesimo secolo, è stato per me e per i miei amici un veramente caro maestro ed ispiratore. Ma nel nostro culto per lui noi eravamo del tutto soli. I circoli intellettuali francesi, dei quali parlavo poc’anzi, erano, manco a dirlo, sublimemente ignoranti nei suoi riguardi; dirò di più: fra gli stessi interessati alla filosofia dell’Aquinate una forte maggioranza presumeva di avere vista abbastanza buona per leggere il testo della Summa senza bisogno di ausilio alcuno, e provava semplicemente ripugnanza per tutti i commentatori, e particolarmente per Giovanni di San Tommaso, a causa del suo stile spiccatamente tecnico ed involuto. Fu finalmente possibile, tuttavia, avere una buona edizione delle sue opere, almeno in latino, pubblicata in Francia ed in Italia; e si arrivò ad avere anche una traduzione francese del suo trattato “sui doni dello Spirito Santo”, che costituisce un’opera fondamentale nella vita dello spirito, in una pubblicazione curata da mia moglie. Quanto però ad avere in una traduzione francese (o italiana, o tedesca) i suoi trattati logici e filosofici, l’idea stessa era addirittura inconcepibile: in conseguenza di una siffatta situazione generale era logico che tale Autore finisse con l’essere, per il nostro sparuto gruppo, come una sorta di ermetico ed esoterico santone, la conoscenza del quale era privilegio di pochi iniziati. Ebbene, la Logica Materiale di Giovanni di San Tommaso, un libro di seicentocinquanta pagine, è apparso in inglese qui in America, tradotto dal nostro amico e collega Yves Simon e da due eminenti giovani studiosi americani. Il libro fu pubblicato dalla Chicago University Press ed ebbe la più ampia e favorevole accoglienza da parte delle riviste filosofiche di questo paese. Se pertanto oggi sembra quasi altrettanto naturale leggere Giovanni di San Tommaso quanto leggere Berkeley o Leibniz, dobbiamo questa nostra vittoria su inveterati pregiudizi – vittoria che non si sarebbe neppur potuta sognare venticinque anni fa – precisamente all’apertura mentale che sta alla base della cultura americana».
Proprio questo insistente riferimento a Giovanni di s. Tommaso conferma la posizione filosofica di Maritain, per cui il tomismo non è la filosofia di un uomo solo, ma una tradizione culturale che in s. Tommaso si è espressa in uno dei suoi vertici, ma che ha radici molto lontane nella filosofia dell’essere e nel realismo del pensiero ebraico, per svilupparsi ed approfondirsi col cristianesimo, fino ad essere la filosofia raccomandata dalla Chiesa, senza per altro diventare una questione di fede, per che perderebbe la sua natura razionale e laica. Negli Usa Maritain non insegna soltanto in diverse università, ma con altri esuli francesi e belgi fonda lui stesso un’istituto universitario ed una casa editrice per continuare in terra libera la cultura francese. Nasce il 14 febbraio 1942 a New York l’Ecole libre des hautes etudes, che Maritain cosi presenta: «È essenzialmente e prima di tutto per fare opera di insegnamento superiore e per servire la conoscenza disinteressata, che è stata fondata questa Scuola di alti studi. Ma nelle circostanze presenti questa creazione riveste un significato particolare. Dedicarsi alla libera ricerca, volere servirne la scienza e la verità, e non mettersi al servizio di un partito o di una razza, o di uno Stato tentacolare, di una scienza o di una verità fabbricati secondo l’interesse del momento, significa già contrastare le potenze delle tenebre, che oggi minacciano il mondo. È la verità che ci libera. Noi vogliamo servire la verità, noi vogliamo servire la libertà». Molti perseguitati politici e razziali poterono insegnare in questa Università e testimoniare in America lo spirito democratico che i regimi fascisti cercavano di distruggere in Europa.
In questa libera università insegnarono uomini famosi, come il fisico Jean Perrin e lo storico dell’arte Henri Focillon, di cui Maritain commemorò l’opera con un discorso al Metropolitan Museum of Art, evidenziando la sua importanza nella storia della critica estetica. L’attività di questa Università si può verificare leggendo il catalogo della casa editrice Editions de la Maison Française , curato da Maritain, che non si rifiutava anche ad umili compiti organizzativi per testimoniare le sue convinzioni religiose, filosofiche e politiche.
La sua testimonianza in America non si limitò al piano dell’insegnamento e della cultura, si concretizzò anche a livello di partecipazione politica, pur senza mai identificarsi in un partito politico. Invitato a partecipare alle attività della resistenza, indirizzò ai francesi numerosi messaggi radiofonici sostenendo le forze democratiche contro gli occupanti tedeschi e il governo collaborazionista di Vichy e preparò la stesura del manifesto dei cattolici europei democratici esiliati in America. Un suo volumetto Attraverso il disastro pubblicato a New York, ebbe anche una edizione clandestina nella Francia occupata dai nazisti, e fu completato da un secondo volumetto Attraverso la vittoria, nel quale, prefigurando la collaborazione, oltre ogni forma di rivoluzione e di reazione, tra cattolici e socialisti, affermava che la storia avrebbe fatto giustizia della contrapposizione tra cristianesimo e democrazia: «La resistenza francese è stata l’occasione di un avvicinamento di importanza straordinaria, nel quale gli uomini della rivoluzione francese e gli uomini della fede e della speranza cristiana si sono riconosciuti. Questi cristiani hanno compreso che l’ispirazione democratica deriva in definitiva dall’ispirazione evangelica, per laicizzata e deformata che possa essere stata. Questi democratici hanno compreso che l’ispirazione cristiana può fare dei difensori indomabili della libertà e dei diritti della persona umana».
Malgrado questa precisa posizione politica Maritain rifiuta di partecipare a schieramenti politici e quando il generale De Gaulle lo invita ad entrare nel «Comite national de la France Libre» risponde con cordialità, ma rifiuta con fermezza, perché il vero intellettuale deve essere al di sopra delle parti.
Nel periodo americano Maritain, a contatto con una società democratica ricca di multiformi fermenti culturali, scrive le sue opere fondamentali di pedagogia, di.politica e di estetica, sempre nell’impegno di una presenza immediata nel dibattito culturale. Da una serie di lezioni alla Università di Yale tenute nel 1943 nasce L’educazione al bivio, che avrà notevole successo editoriale, nelle tre stesure inglese, francese, italiana curate direttamente da Maritain, tanto da essere tradotta anche in giapponese.
Ma sarebbe limitativo considerare il discorso pedagogico maritainiano bloccato su questa opera, perché altre conferenze e comunicazioni hanno sviluppato e precisato la tematica impostata nelle lezioni di Yale. Infatti nel 1955 collabora ad un volume della «The national society for the study of education» sulla filosofia dell’educazione, avendo come «consulente pedagogico» William P. Cunningham, con un testo Prospettive tomistiche sull’educazione, e partecipa ad una tavola rotonda in occasione del cinquantesimo anniversario della fondazione della Kent School, con un contributo su Alcuni aspetti tipici dell’educazione cristiana . Entrambi i testi saranno poi pubblicati in volume in edizione francese, mentre altri interventi pedagogici in lingua inglese saranno raccolti, con l’autorizzazione dell’autore da Donald e dalla Gallagher per conto della Notre Dame University. In questa antologia sono particolarmente importanti alcuni testi sull’educazione morale che completano l’opera pedagogica maritainiana nella sua stesura definitiva del 1969 e che debbono essere tenuti presenti per una valutazione completa del pensiero maritainiano spesso studiato in modo riduttivo. D’altra parte il pensiero pedagogico di Maritain va ricostruito e studiato attraverso l’esame critico di tutti i suoi scritti, perché le opere di estetica, di morale, di politica hanno frequenti riferimenti ai problemi dell’educazione.
Il problema dell’educazione civica, e il problema del pluralismo delle strutture educative, non vanno considerati solo attraverso l’appendice alla edizione francese di L’educazione al bivio , perché si dimenticherebbero le pagine scritte al riguardo da Maritain nella sua opera politica più importante L’uomo e lo Stato , che raccoglie sei lezioni di filosofia politica tenute alla Università di Chicago nel dicembre del 19494. Questo testo senza negare le posizioni assunte nel 1936 con Umanesimo integrale, sviluppando le premesse di quel discorso, rappresenta la trattazione più organica della dottrina dello Stato democratico elaborata da Maritain a contatto con la società americana, al di fuori degli ideologismi che inquinano frequentemente il pensiero europeo. La base della democrazia, sempre riconosciuta come il frutto dell’influenza del cristianesimo nella storia dell’umanità, viene riscontrata nel diritto naturale, non inteso come giurazionalismo contrattualistico, ma come giusnaturalismo che rimanda dalla legge civile alla legge morale e dalla legge morale propria della coscienza umana alla legge eterna, propria di Dio; per cui solo Dio può essere pienamente «sovrano» al di sopra della legge. Questo testo va letto in relazione a due altri scritti del periodo americano, che si affiancano da una parte e dall’altra a giustificare lo Stato di diritto: I diritti dell’uomo e la legge naturale (1945) e Cristianesimo e democrazia (1945).
L’influenza di Maritain sulla cultura americana sono dimostrati dal fascicolo monografico che, in occasione del suo sessantesimo compleanno, due riviste, una di Montreal in Canada, «La Nouvelle Relève», ed una di New York negli Usa «The Thomist», dedicano alla sua opera di filosofo, seguite poco dopo da un numero unico della rivista «A Ordem» di Rio de Janeiro e dalla fondazione nel settembre del 1958 di un «Centre Jacques Maritain» presso l’Università di Notre Dame nello stato dell’Indiana (Usa) per documentare e conservare l’opera filosofica di Jacques e Raïssa Maritain.
I rapporti tra Chiesa e Stato, che Maritain aveva esaminato nella sua opera di filosofia politica, furono concretamente sperimentati durante il periodo romano, che rappresenta una breve ma significativa parentesi, del periodo americano. Infatti nel dicembre del 1944 Maritain non può sottrarsi alle richieste di impegno politico per la nuova Repubblica Francese, nata dalla Resistenza, e finisce per accettare la nomina ad ambasciatore a Roma presso la Santa Sede. Questa esperienza durò pochi mesi, perché Maritain rinunciò all’incarico nella primavera del 1948, ma confermò la sua posizione di intellettuale impegnato nella testimonianza cristiana nella vita culturale. Infatti proseguendo l’impegno di apostolato intellettuale, già dimostrato a Meudon in Francia e a New York in America, fondò il «Centro s. Luigi di Francia» presso il quale organizzò incontri e dibattiti a cui parteciparono tra gli altri, Marrou, Journet, Lacombe, Couturier. Il 19 dicembre 1946 Maritain stesso vi tenne una conferenza di particolare interesse pedagogico dal titolo Educazione e civismo . Da una conferenza su Persona e individuo, tenuta presso la Pontificia Accademia di s. Tommaso, sviluppando una tematica antropologica che aveva già presentato in altri incontri, a Oxford e a Parigi, trae la stesura definitiva di La persona umana e il bene comune con interessanti considerazioni pedagogiche sulla natura e sulla cultura come termini costituzionali dell’evento educativo.
Rientrato negli Stati Uniti, Maritain insegna filosofia morale alla Princeton University e tiene corsi alla Università Cattolica di Notre Dame e all’Hunter College di New York. Da questa attività intellettuale intende trarre un’opera sulla filosofia morale in due volumi, il primo dedicato alla storia ed il secondo alla trattazione sistematica; purtroppo ha potuto pubblicare soltanto il primo volume, nel quale però sono già individuabili le linee strutturali del secondo come l’Autore stesso riconosce nella introduzione all’opera: «Sarò riuscito a rendere sensibile l’intensità del dramma intellettuale implicato dalle peripezie della storia che fa la materia del presente libro? È un libro voluminoso e che senza dubbio richiede tanta cura per essere letto quanta ne ha richiesta per essere scritto. La nostra speranza è che se avrà la buona sorte di trovare dei lettori abbastanza pazienti per farsi attenti al suo interno movimento, come allo svolgimento tematico, ai giri e rigiri del multiforme pensiero del quale analizza lo sviluppo, i progressi e le cadute, esso li potrà aiutare a discernere la natura dei mali di cui soffre nella nostra epoca la filosofia morale, e soprattutto a prendere coscienza, in actu exercito , delle basi filosofiche dell’etica e del valore dei concetti primi che essa mette in opera. Tutta la materia e tutte le verità, che noi vorremmo discutere in forma dottrinale e sistematica nel nostro secondo volume, sono già presenti nel primo, non allo stato sistematico e in una forma per così dire fluida, ma in un senso, almeno crediamo, forse più stimolante per lo spirito».
Anche da questa dichiarazione appare evidente l’impostazione pedagogica di tutta l’opera di Maritain, che non vuole essere una esposizione astratta di principi teoretici ma inviscerarsi nella concretezza del divenire storico e coinvolgere il lettore in una riflessione personale. Da questa opera sono ricavabili espliciti riferimenti ai problemi dell’educazione morale come impegno della coscienza a realizzare la liberazione della persona.
L’impegno politico di Maritain si manifestò anche all’Unesco in quanto fu chiamato a rappresentare il governo francese e collaborò alla stesura della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo lavorando con intellettuali di tutto il mondo, delle diverse posizioni filosofiche e politiche, e delle diverse confessioni religiose. Per conto dell’Unesco raccolse in un volume, con una prefazione introduttiva, i commenti e le interpretazioni al testo della Dichiarazione evidenziando la possibilità di comprensione e di collaborazione tra culture e civiltà diverse, sulla base di un riconoscimento pratico dei principi di rispetto reciproco, che ciascuno giustifica moralmente secondo le sue convinzioni ideologiche. Il pluralismo per Maritain non è una ideologia, né una riduzione al minimo comune denominatore culturale delle diverse convinzioni morali, ma una metodologia di convivenza civile. Le sue considerazioni di filosofia del diritto espresse a commento della Dichiarazione non erano che la traduzione operativa dei principi di filosofia politica che aveva espresso nel discorso inaugurale «Le condizioni della pace nel mondo», in occasione della seconda conferenza generale dell’Unesco a Città del Messico il 6 novembre 1947.
L’assegnazione del premio Leone XIII per l’opera eccezionale svolta da Maritain nel campo della educazione sociale cristiana, attribuitogli nel 1948 dalla Sheil School of Social Studies di Chicago, conferma l’influenza del pensiero maritainiano in America.
5. Il periodo di Tolosa e la riflessione sul Concilio (1961-1973)
Durante il suo secondo soggiorno negli Stati Uniti, dopo il periodo romano, Maritain frequentemente torna in Francia per tenere conferenze e partecipare a dibattiti. Nel 1949 tenne la lezione inaugurale alla «Settimana degli intellettuali cattolici» con una conversazione su Il cammino della fede e una conferenza su Il significato dell’ateismo contemporaneo all’lnstitut Catholique. La sua presenza in Francia è dovuta anche ad esigenze editoriali per curare la pubblicazione dei suoi scritti in lingua francese. Nel 1951 pubblica presso Tequi Le nove lezioni sulle prime nozioni della filosofia morale continuando la serie dei volumi didattici iniziata nel 1921 con il primo volume degli Elementi di filosofia , e nel 1959 raccoglie in Per una filosofia dell’educazione quasi tutti i suoi scritti di filosofia dell’educazione rivedendone la stesura. Ma il motivo che riporta in Francia i Maritain è l’amicizia con la famiglia Grunelius di Kolbsheim in Alsazia, presso la quale i Maritain e i loro amici si riuniscono durante l’estate per incontri di studio e di preghiera. È proprio a Kolbsheim che nel 1949 viene elaborato il manifesto programmatico Saggezza nel quale vengono recuperate le motivazioni culturali e spirituali che avevano animato le riunioni dei Circoli Tomistici prima del conflitto mondiale.
Anche in Francia viene riconosciuta l’opera di Maritain; la «Revue Thomiste» nel 1948 gli dedica un numero unico e il Centro Cattolico degli intellettuali francesi il 10 dicembre 1956 organizza una giornata di studio, con la partecipazione di personalità del mondo della cultura, che daranno il loro contributo per un volume della rivista «Recherches et dèbats».
L’opera di ricerca e di insegnamento di Jacques Maritain è stata possibile non solo per la collaborazione della moglie Raïssa e della cognata Vera Oumançoff, anch’essa convertitasi dell’ebraismo al cristianesimo, ma soprattutto per la spiritualità che tutti e tre coltivavano in una comune esperienza di fede e di carità. Così Maritain descrive in Ricordi e appunti la loro vita e le motivazioni della loro spiritualità: «Comprendemmo decisamente tutti e tre che la nostra piccola comunità laica formava un’unità a parte, era in mezzo al mondo qualcosa che non era del mondo, senza avere per questo bisogno di aderire a una qualsiasi imitazione secolare dello stato religioso ne ad alcuna pia organizzazione. È vero che all’inizio ci consideravamo un po’come monaci e monache laici e che non senza una certa aria di bravata e con molta ingenuità io scrivevo in alto alle mie lettere un pax benedettino anche quando esse non avevano proprio niente di pacifico. Ma queste illusioni non tardarono a svanire. Eravamo laici, impegnati senza riserva nello stato di vita laica e più gli anni passavano, più ci sentivamo semplicemente tali, dei laici come il popolo comune. Ma quel piccolo gregge di tre apparteneva a Gesù Cristo. In tale spirito e con perfetta chiarezza, Vera prese coscienza del suo destino. Se scelse di restare con Raïssa e con me, non fu per alcuna considerazione temporale, neppure per amore della sorella, ma a motivo di una vocazione personale, del dono di se stessa a Dio e d’una chiamata che sapeva venire dal fondo dell’eternità. La vocazione cui ho ora accennato è la radice soprannaturale della sublime dedizione che ella ebbe per noi. Essa spiega anche perché ella non si sentì mai sorella e cognata un po’isolata di fronte al coppia Raïssa-Jacques. C’era tra noi tre un’unità profonda e tranquilla, un’unità radicale che ci è sempre apparsa come un’immensa grazia di Dio. Il numero tre è un numero particolarmente santo e che significa la più completa pienezza, ecco l’idea o l’impressione che il nostro cuore non cessò mai di avere. Quando Vera partì per l’altra vita, che inspiegabile solitudine cadde d’un tratto su di noi, due esseri che pure erano uniti da un così grande amore! Raïssa non potè sopravvivervi; Vera le aveva preparato il posto. Ed ora io sopravvivo a tutt’e due come un mendicante sostenuto da loro. Ma la verità è che sopravvivo anche a me stesso».
Questi «appunti» spiegano molto bene lo stato d’animo di Maritain, trovatosi solo a «sopravvivere a se stesso», e il suo desiderio, rientrato nel 1961 in Francia, di stabilirsi a Tolosa presso i Piccoli fratelli di Gesù, per continuare nella preghiera e nella riflessione la sua testimonianza cristiana. Gli anni di Tolosa non segnano un declino nella attività culturale di Maritain, ma uno sviluppo significativo, perché il «vecchio filosofo» continua ad «insegnare», tenendo seminari di studio a Tolosa e a Kolbsheim, collabora a giornali e a riviste, pubblica libri, riflette sulla sua esperienza culturale, che non smentisce ma conferma anche nei suoi ultimi scritti, fino ad Approches sans entraves di cui potè rivedere le bozze nel 1973 poco prima di morire.
Tra i seminari di ricerca, in questo profilo dell’opera pedagogica di Maritain, trova un posto particolare quello del 1964, tradottosi nel volume Della grazia e della umanità di Gesù per le osservazioni sulla «educazione» di Gesù che è «cresciuto» veramente «in statura, in sapienza e in grazia», come risulta dal Vangelo di s. Luca (2,52). Nel 1969 Maritain trova pure il tempo di rivedere tutti i suoi scritti di filosofia dell’educazione, per cui pubblica una nuova edizione di Per una filosofia dell’educazione , con varianti rispetto l’edizione del 1959 e con una prefazione di Marie-Odile Metral, studentessa della Sorbona che aveva partecipato alla contestazione studentesca del maggio 1968. Le ultime considerazioni pedagogiche di Maritain riguardano i pericoli che incombono sul mondo contemporaneo a causa del potere tecnocratico conseguente agli sviluppi della civiltà industriale: «Affinché la nostra civiltà si orienti verso una tecnologia al servizio del bene dell’essere umano, purificata da ogni ambizione tecnocratica, bisogna, mi sembra, contare in primo luogo sulle risorse della natura umana, che malgrado le sue ferite resta buona nella sua essenza ed assetata di bene. Voglio dire che, istintivamente, e mediante un processo per prove ed errori, lui pure penitenziale, nei paesi democratici, si svilupperà senza dubbio una lotta, ancora più o meno cieca, contro il pericolo tecnocratico. Bisogna, però, che una tale lotta, se alla fine deve essere vittoriosa, divenga l’oggetto di una completa presa di coscienza e sia illuminata da una sicura filosofia sociale e politica». Il vecchio maestro non si smentisce, la prassi deve sempre essere illuminata dalla teoria, se manca la coscienza dei fini si lavora a vuoto.
Intanto la Chiesa cattolica ha concluso il Concilio Vaticano secondo, che ha posto la nuova cristianità davanti al mondo moderno in posizione di apertura e di dialogo e Maritain è stato chiamato da Paolo VI a ricevere il messaggio della Chiesa agli intellettuali e molte delle intuizioni maritainiane a proposito dei rapporti tra religione e cultura, tra Chiesa e Stato, tra evangelizzazione e promozione umana sono state implicitamente accolte e riconosciute nei documenti conciliari. «In verità tutte le vestigia del Santo Impero sono oggi liquidate: siamo definitivamente usciti dall’età sacrale e da quella barocca; dopo sedici secoli, che sarebbe vergognoso calunniare o pretendere di ripudiare. Ecco compiuto il grande rovesciamento in virtù del quale non sono più le cose umane che s’incaricano di difendere le cose divine, bensì queste che si offrono a difendere le cose umane (se queste non rifiutano l’aiuto offerto)». Ma le novità del Concilio vengono fraintese, alcuni cristiani si sono scandalizzati, altri si sono lasciati fuorviare da una teologia progressista che porta ad un nuovo modernismo, e Maritain dal suo rifugio di Tolosa si sente impegnato ad intervenire e scrive nel 1966 Il contadino della Garonna contro i «poveri cristiani sofisticati» malati di «logofobia» e di «cronolatria» suscitando una nuova polemica, ma restando fermo nell’affermazione dei valori del Concilio. A chi lo accusa di avere rinunciato all’«umanesimo integrale», ai discepoli infedeli che lo vogliono coinvolgere nell’affermazione di tesi contrastanti con l’autorità della Chiesa, risponde riaffermando il «primato dello spirituale».
In una lettera del marzo 1967 alla rivista «Masses ouvrieres» scrive: «In Italia c’è chi afferma che ho rinnegato Umanesimo integrale. È una stupidità e una calunnia; tengo più che mai a tutte le posizioni di Umanesimo integrale». Coloro che vogliono «storicizzare» il pensiero di Maritain e farlo passare per un filosofo alla moda, secondo le diverse stagioni, sono serviti. Il «contadino della Garonna» è ancora il giovane docente del Collegio Stanislao convinto che la verità è una sola e non passa col tempo e che l’insegnamento consiste proprio nella «liberazione dell’intelligenza» e che la «docilità» all’oggetto è il principio della saggezza filosofica contro ogni presunzione intellettuale.
L’opera più importante del periodo tolosano non è Il contadino della Garonna anche se questa opera ha avuto un notevole successo editoriale, ma uno studio sistematico sulla realtà e sul mistero della Chiesa, che può essere considerato una risposta in positivo alle inquietudini della crisi postconciliare. L’introduzione di La Chiesa del Cristo. La persona della Chiesa e il suo personale , scritta nel 1970, conferma fin dalle prime righe la coerenza di un impegno culturale di ricerca e di insegnamento, la continuità di una linea metodologica che caratterizzano tutta l’opera maritainiana. «Con quale diritto un laico che non ha autorità per trattare simili argomenti (non è un teologo) si è avventurato a scrivere queste pagine sulla Chiesa del Cristo, che è un mistero di fede? Rispondo che la sola autorità della quale ci si possa valere parlando agli altri è quella della verità; e che in un momento storico di profondo turbamento si può senz’altro permettere a un vecchio filosofo cristiano, il cui pensiero è da sessant’anni dominato dal mistero della Chiesa, di dare la testimonianza della sua fede e della sua meditazione». La riflessione sul mistero della Chiesa è una costante del pensiero di Maritain, che vede nella Chiesa un mistero di salvezza ed una istituzione sociale predisposta dalla provvidenza di Dio per l’educazione dell’umanità. In questa ricerca ecclesiologica Maritain si è sempre affiancato ad un teologo, padre Clerissac nei primi anni della conversione, il cardinal Journet nel periodo della maturità, per avere quei riferimenti teologici che sono necessari per una adeguata e corretta impostazione di una filosofia della religione.
Raïssa Maritain aveva sempre collaborato con Jacques nel lavoro di ricerca filosofica e nel rifugio tolosano Jacques trova il tempo di raccogliere tutti gli scritti di Raissa, editi ed inediti, e di pubblicare: Il diario di Raïssa nella cui prefazione scrive: «A dominare tutto il resto c’era poi la sua preoccupazione per il mio lavoro filosofico, e per la specie di perfezione che ne aspettava. A questo lavoro Raïssa ha sacrificato tutto. Nonostante tutte le pene morali e fisiche e, in alcuni momenti, una quasi completa mancanza di forze, è riuscita con uno scatto di volontà, e perché la collaborazione che le ho sempre domandata era per lei un dovere sacro, a rileggere sul manoscritto tutto quello che ho scritto e pubblicato sia in francese sia in inglese». Questa collaborazione fu particolarmente preziosa per i problemi relativi all’estetica, perché Raïssa componeva poesie, e sulla mistica, perché Raïssa era un’anima contemplativa: «In un certo senso, Raïssa ha detto tutto nelle sue poesie. E queste non sono forse nate là dove, per rarissima coincidenza, tutte le sorgenti costituiscono una cosa sola, e dove l’esperienza creatrice del poeta non è che il puro specchio dell’esperienza mistica?», Nel 1970, a conclusione della sua lunga avventura spirituale, Maritain, che fino ad allora a Tolosa aveva vissuto come ospite presso i Piccoli fratelli di Gesù, non contraddicendo ma realizzando la sua vocazione di laico impegnato nel lavoro e nella preghiera per testimoniare nel mondo il cristianesimo, volle essere accolto nella comunità come piccolo fratello. Le ragioni di questa scelta e di questa decisione sono espresse nella lettera ai Piccoli fratelli del luglio 1970: «Cari Piccoli Fratelli, desidero parteciparvi una notizia che mi concerne e che forse vi sorprenderà un poco: il vecchio Jacques ha fatto domanda di entrare tra i Piccoli Fratelli di Gesù; e fratel Rene e il Consiglio hanno avuto la grande carità di accettare la sua richiesta. Hanno anche voluto consentire che io faccia a Tolosa il mio noviziato che comincerà a metà ottobre. Se accoglierete questa notizia con una sonora risata vi capirò benissimo: questo vecchietto d’un filosofo, prossimo agli 88 anni e che si mette disinvoltamente a saltare il limite d’età (non superare i 35 anni) imposto ai postulanti. Di fatto i fratelli tra i quali vivo qui hanno preso le cose dal lato buono, ed io ne sono vivamente riconoscente a loro, come anche a Rene e al Consiglio. Se sono sempre stato un laico inveterato, è perché la mia lunga avventura di Don Chisciotte di s. Tommaso esigeva in modo assoluto di essere vissuta sotto la mia sola responsabilità di franco-tiratore. Ora avviene che l’avventura in questione è terminata, con il libro di cui ho appena finito di completare il manoscritto, e che uscirà tra qualche mese. Un filosofo alla fine della sua vita fa bene a volgersi verso le cose di lassù, ma dopo aver osato affrontare un argomento come La Chiesa del Cristo , non scrive più libri.
Una volta capito bene questo, mi sono sentito libero di seguire il mio desiderio di condividere a fondo la vostra vita. Essere consacrato a Dio dalle mani della sua Chiesa, praticare l’obbedienza religiosa: potevo fare una scelta migliore? Gli anni passati alla Fraternità di studi mi hanno confermato nell’amore della vocazione e dello spirito dei Piccoli Fratelli di Gesù, e nella convinzione che essi portano al nostro tempo ciò di cui esso ha più bisogno. E, a dire il vero, non è forse stata l’idea di vivere la vita di contemplazione nel mondo, senza essere del mondo, ad animare Raïssa, Vera e me nel piccolo gregge che formavamo? Tutte e due, esse sono andate fino alla fine su questa strada, in un dono totale di loro stesse, e al prezzo dei dolori della Croce, mentre io cercavo di seguirle, da povero maneggiatore di concetti che fa – forse non troppo male – la teoria di ciò che pratica nel peggiore dei modi. Penso che ora esse approvano la decisione da me presa, e che vi ringrazieranno, molto meglio di quanto posso fare io, di volere accogliermi tra voi. Che io possa vivere almeno un briciolo di tempo, e morire, da buon Piccolo Fratello di Gesù! Pregate per me».
La realizzazione «integrale» della vocazione di Piccolo fratello non impedì a Maritain di continuare il suo lavoro intellettuale, tanto che «Le Monde» pubblicò nel numero del 2-3 settembre 1973 il testo di una delle sue ultime conferenze dal titolo significativo Le due grandi Patrie ; quasi un testamento, essendo Jacques Maritain passato da questa Patria provvisoria alla Patria definitiva il 28 aprile del 1973. Anche in questo ultimo scritto Maritain confermava la sua speranza: «Verrà un giorno in cui questa grande patria, che è il mondo, ritroverà in buona parte, in mezzo a mali anch’essi nuovi, secondo la legge della storia del mondo, il fine vero per cui è stata creata; un giorno in cui una nuova civiltà darà agli uomini, non certo la felicità perfetta, ma un ordinamento più degno di loro e li renderà più felici sulla terra. poiché io penso che la meravigliosa pazienza di Dio non sia ancora esaurita, e che il giudizio finale non avverrà domani».
6. Quasi un autoritratto e la testimonianza della nipote
Nel 1954, a settantadue anni, dopo avere superato numerose vicissitudini in polemica con gli uomini della cultura e della politica, della teologia e della religione, che più volte lo avevano aggredito per la franchezza delle sue posizioni sui problemi più scottanti della storia contemporanea, Maritain, fiero della sua indipendenza e della sua lealtà alla verità tenacemente ricercata e professata, così si presentava nella prefazione ai suoi Ricordi e appunti: «Che sono io dunque?, mi domandavo allora. Un professore? Non lo credo; ho insegnato per necessità. Uno scrittore? Forse. Un filosofo? Lo spero. Ma anche una specie di romantico della giustizia troppo pronto ad immaginarsi, a ogni combattimento, che fra gli uomini sorgerà senz’altro il giorno della giustizia come della verità. Forse sono anche una specie di rabdomante con l’orecchio incollato sulla terra, per captare il mormorio delle sorgenti nascoste, l’impercettibile fruscio delle germinazioni invisibili. E forse, come qualsiasi cristiano, nonostante le paralizzanti miserie e debolezze e tutte le grazie tradite di cui prendo consapevolezza alla sera della mia vita, sono anche un mendicante del cielo travestito da uomo del nostro secolo, una specie di agente segreto del Re dei Re nei territori del principe di questo mondo, un agente segreto che si assume i propri rischi a somiglianza del gatto di Kipling girovagante tutto solo».
Una simile tempra di pensatore non poteva chiudersi in una scuola, militare in un partito politico, iscriversi a un’accademia, diventare il portavoce di qualsivoglia struttura sociale. Per tutta la sua vita ha pagato di persona, ha impegnato solo se stesso, ha tracciato delle piste di ricerche, senza mai definire un sistema dottrinale chiuso, usando il tomismo come una metodologia per la discussione dei problemi reali della società e della Chiesa, incessantemente approfondendo il suo punto di vista sulle questioni affrontate in dialogo con tutte le correnti del pensiero contemporaneo.
La filosofia di Maritain è una filosofia esistenziale, che senza nulla perdere della oggettività della scienza e della universalità del sapere intelligibile, nasce dalla esperienza e va diritta all’esperienza, anche se procede secondo le leggi ferree della logica e non si risolve nella esperienza individuale del filosofo. «L’esistenzialismo di s. Tommaso è completamente diverso da quello delle filosofie di oggi; dicendo che, a mio avviso, è il solo esistenzialismo autentico, non è che io stia cercando di “ringiovanire” il tomismo con artifizi verbali, cose di cui mi vergognerei, o che stia tentando di rimodernare s. Tommaso, secondo un costume alla moda. Non sono un neo-tomista; tutto sommato preferirei essere un paleotomista; sono, almeno spero di essere, un tomista. Da più di trent’anni constato quanto sia difficile ottenere che i nostri contemporanei non confondano le facoltà di invenzione dei filosofi con quelle degli artisti delle grandi case di moda». Così scriveva nella premessa dettata nel 1964 per il Breve trattato dell’esistenza e dell’esistente .
Nel suo ultimo libro, pubblicato postumo, si può leggere questo pensiero che ricapitola tutta la sua esperienza culturale: «Il tomismo autentico è sempre nell’angoscia di verità nuove da scoprire, da riconoscere, da integrare. Le chiavi che esso s’ingegna a fabbricare servono ad aprire le porte, non a chiuderle. Non è un sistema chiuso, è una saggezza essenzialmente aperta e senza frontiere, per il fatto stesso di essere una dottrina in movimento e in sviluppo vitale».
Pur affrontando le più disparate questioni, dall’estetica al diritto, dalla politica alla pedagogia, Maritain ha sempre trattato gli argomenti della sua ricerca «da filosofo», utilizzando tutti i riferimenti impliciti nel suo lavoro riferibili ad altre forme di conoscenza, dalla sperimentazione scientifica alla quantificazione matematica, dalla poesia alla mistica, dalla etnologia alla psicoanalisi.
Questo suo atteggiamento di laicità, aperto a tutte le metodologie di ricerca, non è solo l’atteggiamento della sua personalità di filosofo, ma una precisa metodologia epistemologica, il «distinguere per unire», che, superando le polemiche del fideismo medioevale e del razionalismo illuministico esalta la «santità dell’intelligenza», mettendo la ragione in relazione vitale con tutte le forme della conoscenza umana di un «animale ragionevole».
Per concludere questo profilo è bene sentire chi l’ha avuto per maestro negli anni dell’infanzia e della adolescenza, per conoscere, al di là del pensiero, il comportamento diretto nell’azione educativa, nel rapporto interpersonale tra l’educando e l’educatore, che va risolto pedagogicamente in quell’«essere con l’educando», che è la traduzione del principio politico dell’«esistere con il popolo» teorizzato da Maritain. Scrive la nipote, Eveline Garnier, figlia della sorella di Jacques :
«La cosa più sorprendente nelle relazioni intercorse tra mio zio e me sta proprio nel fatto che non ha mai fatto intravedere che era nato molti anni prima di me. Quando ero una fanciulla, egli giocava con me, mi portava al circo, rideva quando io ridevo. Quando divenni una adolescente risentì anche lui delle inquietudini che mi agitavano. Quando fui giovane soffrì con me le nuove difficoltà che dovevo affrontare. Egli si adattava senza alcun sforzo apparente a tutti gli stati del mio sviluppo. E li seguiva con un movimento di attenzione e di tenerezza, che mi lasciava l’interezza della libertà. Non tentava mai di farmi parteggiare per i suoi gusti, ma la gioia brillava nei suoi occhi quando gli comunicavo la mia ammirazione per un pittore che egli amava».
Non solo nella sua filosofia dell’educazione, ma anche nella sua esperienza educativa, familiare, scolastica, accademica, Maritain ci ha insegnato che in educazione quel che conta non sono i programmi, i metodi, le strutture, ma la personalità dell’educatore